L'atomo è la più piccola parte di un elemento chimico: ne conserva tutte le caratteristiche e non è ulteriormente scomponibile per via chimica. Per lungo tempo è stato considerato la più piccola particella esistente, come testimonia il nome che deriva dal greco àtomos , "indivisibile". Ma in realtà l'atomo è formato da particelle più piccole. Protoni , neutroni ed elettroni sono solo tre delle oltre 200 particelle subatomiche finora scoperte. Ma come fanno gli scienziati a indagare l'ultrastruttura di una particella come l'atomo, che è 10 milioni di volte più piccola di 1 mm? Le conoscenze che oggi abbiamo sull'atomo le dobbiamo in gran parte a potenti macchine chiamate "acceleratori di particelle" che, utilizzando campi elettrici e campi magnetici , sono capaci di aumentare enormemente la velocità di particelle atomiche o subatomiche dotate di carica elettrica e di farle entrare in collisione tra loro, con il risultato di "estrarre" altre particelle: quark, particelle k , l , µ , u , ecc. I fisici inglesi John D. Cockroft (1897-1967) e Ernest T. Walton (1903-1995) sono stati i primi ideatori di una macchina di questo genere, nel 1928. Lo strumento da loro inventato, il moltiplicatore di tensione, presentato ufficialmente nel 1932, era capace di creare elevati potenziali elettrici e di conferire al protone un'energia di circa 400.000 elettronvolt (eV). Grazie a questa macchina Cockcroft e Walton riuscirono a spezzare con protoni accelerati il nucleo del litio. Un'esperienza che valse loro il premio Nobel nel 1951. La necessità di raggiungere valori di energia così elevati era nata in seguito all'intuizione di un altro fisico inglese, Paul A. M. Dirac (1902-1984), che aveva previsto l'esistenza di un antiprotone , oltre a quella del positrone , scoperto dallo statunitense Carl D. Anderson (1905-1991) sempre nel 1932. Ma per provarlo serviva molta più energia. L'energia è infatti proporzionale alla massa della particella in questione. La massa del protone è 1836 volte quella dell'elettrone, e quindi per la formazione di un antiprotone è necessaria un'energia pari almeno a 1836 volte quella richiesta per i positroni. Quasi contemporaneamente il fisico americano Robert J. Van de Graaff (1901-1967) realizzò il generatore elettrostatico che da lui prese il nome, con il quale fu possibile raggiungere una differenza di potenziale elettrico di 8 milioni di volt (V). Oggi i generatori elettrostatici sono in grado di accelerare elettroni fino a una velocità che corrisponde a più di 20 megaelettronvolt (MeV), cioè 20 milioni di elettronvolt. Alla fine degli anni Venti venne progettato un sistema capace di fornire valori di energia ancora più elevati, per ovviare così ai limiti imposti da quelli precedenti: era nato il primo acceleratore lineare. Si trattava di un tubo diviso in diverse sezioni di lunghezza via via crescente, in modo che le particelle potessero attraversarle nello stesso tempo, man mano che prendevano velocità. Nella realizzazione di questo tipo di acceleratori, il limite era imposto dall'impossibilità di raggiungere tubi di lunghezze elevate. Questo fu uno dei motivi per cui l'acceleratore lineare non ebbe grande successo negli anni Trenta. Nel 1931 Ernest O. Lawrence (1901-1958) inventò il primo acceleratore circolare, il ciclotrone, un'apparecchiatura assai più compatta capace di accelerare protoni fino a 20 MeV; invenzione per la quale fu insignito del premio Nobel nel 1939. In questo tipo di macchine l'aumento della massa in relazione alle sempre più elevate velocità raggiunte - effetto previsto dalla teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955) - diventava apprezzabile, provocando un ritardo e uno sfasamento rispetto agli impulsi elettrici. Era necessario imporre una maggiore sincronia con il campo elettrico alternato, una conclusione cui arrivarono indipendentemente nel 1945 due fisici, il sovietico Vladimir I. Veksler (1907-1966) e il californiano Edwin M. McMillan (n. 1907). In seguito a ciò si realizzò il sincrociclotrone, un'apparecchiatura capace di accelerare le particelle fino a un'energia compresa fra i 200 e i 400 MeV. Più tardi negli Stati Uniti e in Unione Sovietica si raggiunsero energie fino a 800 MeV. Il problema dell'accelerazione degli elettroni si affrontò separatamente, poiché per riuscire a rompere gli atomi con queste particelle così leggere, era necessario portarsi a velocità assai più elevate di quelle richieste per i protoni. A questo scopo nel 1941 il fisico americano Donald W. Kerst (n. 1911) realizzò il betatrone, una nuova macchina in cui, invece di una spirale verso l'interno, gli elettroni descrivevano una traiettoria circolare. Nel 1946 F. K. Goward e D. E. Barnes costruirono il sincrotrone per elettroni, o elettrosincrotrone, ottenendo energie fino ai 1000 MeV. Queste ultime due macchine ispirarono la costruzione dei sincrotroni per protoni, grazie ai quali più tardi fu possibile superare il limite di 1000 MeV. Nel 1952 nel Laboratorio Nazionale di Brookhaven a Long Island (New York) si terminò la costruzione del cosmotrone che raggiungeva i 3 gigaelettronvolt (GeV), cioè 3 miliardi di elettronvolt. Nel 1954 fu la volta del bevatrone e nel 1957 del fasotrone, un acceleratore sovietico che raggiungeva i 10 GeV. Due anni dopo il CERN (Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare) mise in funzione a Ginevra un sincrotrone in grado di raggiungere i 24 GeV e di produrre ogni 3 secondi pacchetti di 10 miliardi di protoni lungo una traiettoria circolare di circa 360 m percorsa, nello stesso intervallo di tempo, per ben mezzo milione di volte. Con gli "Anelli Di Accumulazione" (ADA) - di cui il primo è stato quello realizzato in Italia negli anni 1960-61 -, due fasci di particelle circolavano in direzione opposta, orientati in modo da collidere frontalmente. Si sprigionava così un'energia quattro volte più grande di quella ottenutasi nella collisione con bersagli fissi. Sulla base di questo principio a Chicago, nel 1982, al Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory), è entrato in funzione il tevatrone, un acceleratore capace di raggiungere i 1000 GeV. Proprio al Fermilab nel 1994 è stata scoperta l'ultima particella elementare (almeno fino a oggi): il top quark. Come già spiegato, gli acceleratori di particelle sono tutte le macchine che consentono di portare a energie elevate particelle atomiche o subatomiche elettricamente cariche, sottoponendole all'azione accelerante di campi elettrici o magnetici. Le particelle possono essere, oltre a elettroni e protoni, anche ioni , particelle a o altro. La classificazione più generale degli acceleratori si basa sul loro funzionamento. In questo senso si distinguono due categorie principali: gli "acceleratori elettrostatici", in cui il campo elettrico è un campo elettrostatico prodotto da due elettrodi mantenuti a potenziale diverso (acceleratore di Cockcroft-Walton e acceleratore di Van de Graaff), e gli acceleratori "circolari" e "lineari", in cui si impiegano campi elettrici e magnetici variabili nel tempo e che prendono il nome dalla forma dell'orbita descritta dalle particelle. I vari tipi di acceleratori elettrostatici differiscono sostanzialmente per il tipo di generatore che fornisce la tensione elettrostatica necessaria agli estremi del tubo acceleratore, una sorta di cavità in cui è stato creato il vuoto spinto da un opportuno sistema di pompe , contenente a un'estremità la sorgente di ioni e all'altra il bersaglio che viene colpito dal fascio di particelle accelerate, i proiettili. L'energia massima raggiungibile è limitata dalle tecniche di produzione dei campi elettrostatici. Negli acceleratori circolari (ciclotrone, sincrotrone e sincrociclotrone) le particelle sono accelerate su orbite a spirale o circolari, percorse più volte, prodotte dall'azione incurvante di campi magnetici realizzati con grossi magneti e disposti perpendicolarmente al piano dell'orbita. Alla fine della corsa, durante la quale si producono diversi valori di accelerazione, le particelle colpiscono il bersaglio. Poiché in generale un certo numero di particelle si perde, un buon requisito di questo tipo di acceleratori è legato al loro recupero quando deviano dall'orbita. Negli acceleratori lineari il campo elettrico oscillante si può realizzare in due modi diversi: per mezzo di una serie di elettrodi acceleratori o con un'opportuna onda elettrica che accelera con continuità. Gli acceleratori di particelle, sulla base di molte altre caratteristiche come il tipo di particelle, l'energia di queste, l'intensità del fascio e la sua geometria, vengono raggruppati in ulteriori sottoclassi. Oggi gli acceleratori di particelle sono diventati uno strumento indispensabile per le ricerche sperimentali sulle reazioni nucleari, sulla struttura del nucleo atomico e per lo studio delle particelle elementari. In anni recenti tappe fondamentali sono stati gli studi del fisico italiano Carlo Rubbia (n.1934), premio Nobel nel 1984 per aver confermato l'esistenza dei bosoni intermedi (particolari particelle dette "messaggere" perché permettono la propagazione nello spazio di interazioni fondamentali in natura come la forza gravitazionale, elettromagnetica) e le ricerche svolte al Fermilab di Chicago che nel 1994 hanno portato appunto alla scoperta del quark top, l'ultimo dei sei quark esistenti. I risultati più importanti a cui si è giunti grazie agli acceleratori di particelle riguardano la struttura della materia e la cosmologia. Si è arrivati per esempio a comprendere che sei quark e sei leptoni sono i costituenti della materia e di tutto l'universo e che tutto ciò che vediamo e tocchiamo è il risultato della complessa aggregazione di quattro di queste particelle. Inoltre, le violente collisioni di particelle subatomiche prodotte da questi strumenti riproducono artificialmente reazioni avvenute quando l'universo aveva appena qualche microsecondo di vita. Per questo motivo è probabile che, continuando le ricerche, potremmo arrivare a comprendere cosa sia accaduto ancor prima e come si l'universo sia creato. Attualmente l'obiettivo principale dei futuri acceleratori di particelle è quello di scoprire il bosone di Higgs, l'ultima particella prevista dal modello standard di struttura del nucleo atomico e non ancora osservata. Le energie richieste per raggiungere questo obiettivo sono elevatissime e i progetti spesso risultano molto costosi, motivo per cui la comunità scientifica internazionale si sta orientando sempre più verso ricerche ad ampia collaborazione. Gli sviluppi futuri della fisica delle particelle sono legati all'LCH (Large Hadron Collider) installato al CERN di Ginevra che dovrebbe portare avanti le ricerche non solo con i contributi dell'Unione europea, ma anche grazie all'appoggio degli Stati Uniti.